I Leoni di Sicilia ruggiscono solo nelle buone intenzioni: il resto è una forzatura che tradisce il libro. La recensione
La versione tv del best seller di Stefania Auci stravolge il racconto in alcuni punti a favore di un forzato sguardo alla contemporaneità: è vero che adattare vuol dire anche tradire, ma a deludere è soprattutto la mancanza di pathos, presente invece nel libro
Dover essere contemporanei a tutti i costi, anche tradendo il proprio punto di riferimento. Ne I Leoni di Sicilia, la serie tv disponibile da mercoledì 25 ottobre 2023 su Disney+, a lasciare con l’amaro in bocca però non è tanto quel “tradimento” dalla fonte letteraria, necessario e doveroso ogni volta che si adatta un libro a serie tv o film, ma il come quel tradimento è stato messo in atto e, soprattutto, lo scopo che si voleva raggiungere.
La recensione de I Leoni di Sicilia
Uno sforzo troppo evidente
A prevalere nel corso degli episodi diretti da Paolo Genovese è la sensazione di sforzo fatta dai vari comparti per cercare di essere all’altezza della situazione. Uno sforzo lodevole, ma che non rende quella naturalità al racconto che chi ha letto il best-seller di Stefania Auci conosce. Tutto ne I Leoni di Sicilia è stato pensato per cercare di strizzare l’occhio il più possibile al pubblico contemporaneo, e non c’è nulla di male in questo: peggio sarebbe stato scrivere una serie pensando che il pubblico fosse ancora fermo a qualche anno fa. Ma allora, cos’è che non convince di questa serie?
Lo svolgimento di un tema che resta piatto
La prima riposta che ci viene da dare è la piattezza. Spiace dirlo, perché I Leoni di Sicilia era una serie che aspettavamo con curiosità proprio per il grande impegno produttivo ed artistico profuso e anticipato da varie immagini nei mesi scorsi. Eppure, episodio dopo episodio non c’è scena che riesca davvero a coinvolgere, ad emozionare e a suscitare empatia.
Tutto viene proposto come ci se fosse un compito da svolgere sul tema “Ambizione, scalata sociale e ruolo della donna nell’Ottocento siciliano”. Tutto quanto viene detto è perfetto, non fa una piega e farà sicuramente contenti coloro che si battono per chiedere ancora oggi che quell’uguaglianza sia rispettata. Ma questa è una serie, e come tutte le serie deve fare anche i conti con il pathos che, ahinoi, manca.
Dalla recitazione di un cast più che variegato ma che non riesce davvero a convincere nelle sue intenzioni (salviamo solo Donatella Finocchiaro, la cui Giuseppina adulta mostra dolcezza e amarezza al tempo stesso) ai dialoghi, vero difetto di una serie così ambiziosa ma che non riesce a comunicare tramite le parole messe in bocca ai vari personaggi quell’emotività necessaria per agganciare il pubblico.
Il confronto con il libro e lo stravolgimento del focus
C’è poi l’inevitabile confronto con la fonte originaria, il libro di Stefania Auci da cui I Leoni di Sicilia è tratto. È giustissimo aver pensato alla serie come a un prodotto differente dal libro: lo abbiamo già scritto, una trasposizione non deve mai essere tale e quale alla sua fonte, ma deve saper adattare, cambiare, togliere e aggiungere a proprio favore.
Ma ciò che viene fatto ne I Leoni di Sicilia è uno stravolgimento delle intenzioni della storia stessa scritta da Auci. Chi ha letto il primo volume della saga dei Florio sa bene che al centro delle oltre 400 pagine c’è l’ambizione della famiglia protagonista, che come un virus contagia le varie generazioni. Da Paolo Florio (Vinicio Marchioni) al figlio Vincenzo (Michele Riondino), fino al figlio di quest’ultimo, Ignazio (Eduardo Scarpetta): i maschi Florio lottano da sempre contro il terrore di restare fermi dove sono, mentre davanti a loro c’è una scala sociale da salire, costi quel che costi. La loro ambizione, con un tocco di arroganza e spregiudicatezza ma anche di sana visione di un futuro migliore per la propria terra, è il vero motore del libro di Auci. Leggendo la storia, insomma, si procede scoprendo di pari passo quale sarà la prossima mossa dei Florio e, al tempo stesso, quale sarà il prezzo che dovranno pagare per metterla in atto.
La serie tv ce la mostra, questa ambizione, ma diventa organica al racconto e non la sua chiave. I Leoni di Sicilia sacrifica quello che è il cuore della storia per, come detto in apertura, essere contemporanei a tutti i costi. Il focus si sposta così sui temi della discriminazione e della parità di diritti, senza dimenticare l’emancipazione della figura femminile.
Il “tradimento” su Giuseppina
E proprio in quest’ultimo caso avviene quello che a nostro dire è il maggior tradimento della serie sul libro: se con il personaggio di Giulia (Miriam Leone) si è voluto porre maggiormente l’accento sulla sua sete di autonomia e indipendenza tramite lo studio e le proprie scelte (presenti nel libro, ma in maniera meno forte: Auci si sofferma soprattutto sull’amore di Giulia per Vincenzo come ragione per ogni sua scelta), è con il personaggio di Giuseppina (Ester Pantano e Donatella Finocchiaro) che lo stravolgimento lascia non poco infastiditi.
La Giuseppina descritta da Auci è infatti una donna mai felice, con lo sguardo sempre rivolto al passato, alla sua Bagnara, costretta ad abbandonare su volere del marito Paolo. Anche quando, anni dopo, i Florio hanno raggiunto un benessere che farebbe cambiare idea a molti, lei guarda ancora a quegli anni di stenti in Calabria come anni felici, vittima di una vita in cui non ha mai potuto prendere lei delle decisioni.
Tutto ciò viene solo accennato nella serie, che invece preme l’acceleratore sulla relazione con il cognato Ignazio: nel libro fatta di non detti e sguardi (solo una volta i due consumano, per poi non parlarne più, sommersi dai sensi di colpa), mentre nella serie Giuseppina provoca l’uomo, che sa provare dei sentimenti per lei, in una maniera così spudorata che lascia perplessi. Giuseppina diventa uno strumento per gli sceneggiatori per mettere in scena un’altra figura femminile che sa quel che vuole e che ha deciso di non farsi zittire da nessuno, un modello che alimenta una narrazione antipatriarcale molto presente (e meno male) nei racconti di oggi.
Chi non ha letto il libro non ci troverà nulla di strano, ma chi ha conosciuto il personaggio prima su carta per poi ritrovarlo sul piccolo schermo avrà un piccolo sussulto: ma anche questo vuol dire adattare, ovvero cercare un pubblico nuovo là dove un altro potrebbe restare deluso.